Beata Vergine di Tessara, Santa Maria di Non

Non si conosce esattamente la data in cui fu costruita la chiesa, ma si pensa sia la parte rimanente di un convento che esisteva qui già dal XIII secolo e fu distrutto dal tiranno Ezzelino da Romano. Molti gli elementi che fanno pensare a una fondazione benedettina, fra cui l’intitolazione a sant’Egidio, il cui culto fu importato nella diocesi di Padova proprio dai monaci. Gli “albi” erano infatti dislocati nel territorio e si muovevano, alle dipendenze del vescovo, con compiti di assistenza al popolo.

In un luogo paludoso e boschivo, come era Tessara ancora nel Trecento, la chiesa di sant’Egidio e il convento annesso dovevano apparire un confortevole luogo di ospitalità per poveri e ammalati, vecchi, viandanti e pellegrini che transitavano di lì. Il paese, infatti, era luogo di frequente passaggio per la sua felice posizione lungo importanti strade di comunicazione via terra e via acqua, trovandosi a nove miglia da Padova sulla strada che, seguendo il Brenta, portava alla Valsugana.

Ma fu proprio il fiume, con le mutazioni del suo corso avvenute nei secoli, a cancellare i segni del passato. Avvicinandosi all’edificio fino a lambirne le fondamenta, infatti, il Brenta ha tolto la possibilità di ricostruire dai resti la pianta dell’antico monastero. Dell’esistenza della chiesa, comunque, si ha notizia per la prima volta in un documento del 1288. L’antica costruzione aveva in origine (e la mantenne fino alla metà del secolo scorso) la facciata rivolta verso il fiume, fatto che testimonia la preferenza per la via d’acqua dimostrata dagli antichi frequentatori. Ancora il Brenta sembra essere stato il responsabile della ricostruzione della chiesa avvenuta prima della metà del Quattrocento.

Dopo un periodo in cui rimase affidata alle monache benedettine di Santa Croce della Giudecca di Venezia, nella seconda metà del Cinquecento la chiesa di Sant’Egidio fu abbandonata. Nella visita pastorale del 15 marzo 1600 il vescovo di Padova Marco Cornaro, infatti, ne segnalò lo stato di degrado e ordinò che fosse riparata. Tra i lavori da fare avrebbe dovuto esserci la costruzione di una nicchia nella parete settentrionale, dove collocare la statua della Madonna che era sull’altare e qui mettere un’immagine di sant’Egidio, perché venisse restituito il culto al titolare della chiesa. La chiesa fu restaurata ma i fedeli non permisero la rimozione della statua della Vergine.

Grandi, dunque, erano la devozione e l’affetto per Maria, testimoniati anche da una decina di tavolette votive custodite nel santuario. Ma come era giunta lì l’immagine della Madonna? La tradizione fa risalire il fatto alla volontà della Vergine stessa. Si racconta infatti che la Madonna apparve a una bambina malata, mentre questa si stava recando a portare da mangiare al padre che lavorava nelle risaie lungo il Brenta; la Vergine guarì la bimba e ordinò che fosse posta la sua immagine nella chiesetta di sant’Egidio. Così, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, fu realizzata la statua in terracotta che ancora oggi si venera nella chiesa e che, al di là della leggenda, testimonia la profonda fede popolare nella intercessione della Madre di Dio. A lei, in particolare, si affidano le donne prossime a divenire madri.


Nella storia della salvezza Maria svolge una funzione preziosa: è la madre di Cristo, l’anello in cui cielo e terra si sono incontrati e continuano a incontrarsi ogni volta che ci rivolgiamo a lei per giungere al Figlio e al Padre. Maria ha accettato con umiltà e generosità questo ruolo di mediatrice e proprio il suo sì all’angelo rimane il punto di riferimento di tutte le scelte di vita cristiana.

Alle nozze di Cana Maria consiglia ai servi di fare tutto ciò che il figlio comanda e l’obbedienza dei servi ottiene il primo miracolo di Gesù. Così la Madonna, nel suo infinito amore di madre che ha aperto il cuore a Dio e all’uomo, intercede sempre per coloro che a lei affidano dolori e speranze.

Trovandosi dunque colà [all’Arcella] con i frati, la mano del Signore si aggravò su di lui, e crescendo il male con molta violenza suscitava forte ansietà. Dopo breve riposo, fatta la confessione e ricevuta l’assoluzione, egli cominciò a cantare l’inno della Vergine gloriosa: «O Gloriosa Domina, sublimis inter sidera…». Com’ebbe finito, levando d’improvviso gli occhi al cielo, con sguardo estasiato mirava a lungo dinanzi a sé. Chiestogli dal fratello che lo sorreggeva che cosa vedesse, rispose: «Vedo il mio Signore». I frati presenti, sentendo che si avvicinava il suo felice passaggio, decisero di amministrare al santo l’unzione degli infermi. Allorché il fratello che recava, come d’uso, l’olio santo gli si fu accostato, il beato Antonio guardandolo disse: «Non è necessario, fratello, che tu mi faccia questo, ho infatti già questa unzione dentro di me… Tuttavia, è cosa buona per me, e la gradisco molto». Si sostenne ancora per qualche tempo, quindi la Sua Anima Santa venne assorbita nell’abisso della Luce che non tramonta.

Racconto del Transito dalla prima biografia di sant’Antonio - Assidua - Rigaldina (cap. 17)

Vieni o Dio in mio aiuto
affrettati a soccorrermi o Signore.
Gloria al Padre…

Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra,
che abbracciaste ogni pena con umiltà
e rassegnazione, toglietemi da questo cuore
tanta pena… (esporre la grazia che si desidera).
Salve Regina…

Vergine e Madre di compassione, concedetemi questa grazia…
per il figlio che tenete fra
le braccia, il quale per me fu legato alla colonna,
per me fu flagellato, coronato di spine
e si sottopose alla morte.
Salve Regina…

Grazia, grazia per il vostro divin figliuolo
vi chiedo, o Madre di pietà.
Questa grazia
vi chiedo…
e fate che concessa mi sia;
mentre io con più viva fiducia e di tutto cuore vi ripeto:
Salve regina…

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