Tempio nazionale Internato ignoto, Padova
Ricordare Imparare Non odiare queste tre parole, che campeggiano su una vetrata del tempio, riassumono tutto il significato di questo edificio, riflesso di una memoria storica e occasione di riflessione attenta sulla sofferenza di tanti uomini caduti nei campi di concentramento. 700 mila i deportati italiani, 70 mila i morti, senza contare tutti coloro che, tornati a casa minati nella salute, si consumarono lentamente a causa delle malattie contratte durante la prigionia nei lager.
Nel tempio di Terranegra le sofferenze degli internati entrano in un contesto di fede e di amore, mettono in guardia dall’odio e parlano di pace, perché il ricordo del passato non sia semplicemente una pagina di storia imparata a scuola e poi rimasta chiusa in un libro, ma continui a essere monito per il presente, in tante situazioni ancora oggi, purtroppo, drammaticamente attuali.
«Traditore della Patria per avere favorito il nemico procurandogli cibo, vestito e pane». Da un’accusa scaturì l’idea di questo tempio. È l’accusa con cui i fascisti arrestarono, il 14 dicembre 1943, il parroco di Terranegra don Giovanni Fortin e in seguito lo deportarono a Dachau. Un episodio di ordinaria follia, che in quei tempi non era infrequente; una sorte che toccava spesso a coloro che venivano scoperti ad aprire la porta di casa per accogliere, con un gesto di carità, chi si era trovato nella necessità di bussare. Don Giovanni uscì vivo dal campo di concentramento nel giugno del 1945 e volle che la nuova parrocchiale di Terranegra fosse eretta a ricordo delle vittime della deportazione. Il tempio fu consacrato il 3 settembre 1955.
Avviandosi lungo il viale che conduce al tempio si fa già l’incontro con la storia e la tragedia: i 21 cippi di trachite richiamano, ciascuno, un campo di concentramento e di sterminio e i nomi di alcune vittime.
Le due cappelle ai lati del pronao custodiscono invece i segni della fede e della pietà. In quella di destra è il monumento che rappresenta il trionfo dell’amore sul dolore; nella cappella di sinistra si trova invece il sarcofago dell’internato ignoto. Una salma, una delle poche non cremate dai nazisti, prelevata da un cimitero di Colonia in Germania e collocata dapprima sull’altare della Patria a Roma e poi portata a Padova come testimonianza e simbolo dei trucidati nei campi di concentramento; la tomba che la contiene è opera dello scultore vicentino-dalmata Mirko Vucetich ed è intitolata Il Cristo di Buchenwald. Le vetrate, opera del pittore Antonio Bastianello di Padova, raffigurano con forza drammatica gli eventi bellici: la deportazione, gli aguzzini, gli spari, il dolore, la morte… ma anche la forza della fede e l’unità degli spiriti liberi. Alle pareti delle due cappelle e di parte del pronao, piccole lapidi ricordano i nomi dei caduti dei lager.
All’interno del tempio, sul lato sinistro, si alza l’altare della Pietà. È dedicato a Mafalda di Savoia, perita a Buchenwald, e a tutte le madri scomparse nei campi di concentramento nazisti. Sullo sfondo del tempio, un imponente crocifisso sovrasta l’altare maggiore .
A fianco del tempio si trova il Museo dove sono raccolti cimeli, materiale fotografico, filmati e documenti originali che riassumono visivamente la storia degli anni 1939-1945; nel piccolo sacrario sono custodite le urne con le ceneri dei caduti dei campi di Dachau, Buchenwald, Mauthausen e Belsen. È un itinerario che, oltre a narrare gli eventi bellici, racconta la scoperta e la conquista della libertà contro ogni compromesso morale. Una storia non solo “esterna” di fame, freddo, malattie, lavoro da schiavi, ma anche “interna”, fatta di angosciosi ripensamenti, di ardue scelte e di decisioni talvolta mortali.
Gli errori del passato non hanno impedito le guerre in corso, tuttavia devono servire come preciso monito per l’affermazione della giustizia e della verità. Occorre vigilare contro il pericolo di risorgenti totalitarismi culturali o religiosi e dotarsi di efficaci strumenti di controllo del mercato delle armi per indurre l’umanità a preferire la trattativa allo scontro violento. La memoria della violenza armata e del culto della morte devono rimanere l’esempio più vivo per accrescere nei giovani d’oggi la forza della vita e della pace, per respingere l’incombente cultura della guerra, dell’odio e della morte, per aborrire, infine, il nazionalismo esasperato e l’intolleranza razziale. Soprattutto ai giovani, costruttori moderni di pace, viene affidata la missione di aprire nuove vie di fratellanza tra i popoli, tra credenti di tutte le religioni.
È l’ora del dialogo fra cristiani di tutte le confessioni: la cultura della guerra deve lasciare il posto alla cultura della pace, alla civiltà dell’amore, secondo quanto indicato dalle parole di Gesù «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Non bisogna dimenticare, perché non c’è futuro senza memoria, non c’è pace senza memoria.
Papa Giovanni Paolo II nel 50° anniversario della liberazione
Contatti
Indirizzo: viale dell’Internato Ignoto 11, 35128 Padova
Telefono: 049 64 56 82
E-mail: parterranegra@gmail.com