Chiesa di Santa Croce, Campese

La storia dell’insediamento benedettino di Campese affonda le sue radici nel medioevo. Fu l’abate Ponzio di Cluny (successore di Ugo, l’iniziatore della riforma cluniacense) che, di ritorno dalla Terra Santa e destituito del suo incarico nell’abbazia francese, giunse nei pressi di Bassano nella primavera del 1124 e qui costruì un piccolo eremo dove fare vita comune con i suoi monaci; accanto a questo gettò anche le fondamenta di una chiesa, che volle intitolare alla Santa Croce.

Nel 1127 l’abbazia di Campese passò sotto il governo spirituale e l’amministrazione materiale dell’abbazia mantovana di Polirone ed ebbe in dotazione un ampio territorio, che comprendeva l’intera sponda destra del Brenta e in seguito si ampliò estendendosi da Padova a Treviso e da Feltre a Vicenza. Verso la prima metà del Quattrocento Campese entrò nell’organizzazione monastica di Santa Giustina di Padova e, grazie anche all’unione con il priorato di San Fortunato di Bassano, si ebbe una ristrutturazione edilizia che conferì l’aspetto attuale alla chiesa e al monastero.

Un paio di secoli più tardi, tuttavia, l’amministrazione che si era fatta carente, le guerre e le pestilenze causarono il lento e inesorabile declino del convento di Campese. Nel 1769 l’ultimo abate depose il titolo conventuale e agli inizi dell’Ottocento il convento fu soppresso.

La facciata della chiesa della Santa Croce è semplice e pulita; l’ingresso è appena delineato da una cornice in marmo con un timpano a mezzaluna in cui è racchiuso lo stemma abbaziale con la sigla dell’ordine benedettino. L’interno è spazioso e luminoso, misurato e austero, tipico di un edificio conventuale benedettino del XII secolo e rimasto così come l’aveva impostato il fondatore della chiesa, l’abate Ponzio di Cluny, ispirandosi al regolamento edilizio imposto in Francia da Bernardo di Chiaravalle.

Nella nuda semplicità dello spazio, che acquista un aspetto più tipicamente claustrale per la copertura a capriate (risalente alla fine del Quattrocento), si evidenziano gli altari laterali, opere di gusto barocco aggiunte all’edificio nella seconda metà del Settecento ed eseguite dall’artigianato povese. Fra questi, sul lato destro, si trova l’altare dell’Addolorata, con una statua in legno da sempre venerata a Campese. Nell’abside risalta la pala d’altare raffigurante la Deposizione dalla croce dipinta nel 1735 dall’artista vicentino Costantino Pasqualotto.

È invece datato 1495 il fregio, alto circa 80 centimetri, che percorre tutte le pareti della chiesa appena al di sotto delle capriate. Ai motivi di gusto classicheggiante con richiami al mondo vegetale e animale (volute di foglie di acanto, grifi e cavalli fantastici, delfini, cavalli marini e tritoni cavalcati da putti) si alternano, a intervalli regolari, medaglioni tondi raffiguranti le immagini dei santi benedettini (Benedetto, Gregorio Magno, Scolastica, Sebastiano, Martino, Maria Maddalena ecc.) e, fra l’uno e l’altro, è riprodotto il simbolo della croce. L’effigie meglio conservata è quella di san Simeone eremita, rappresentato con il cervo che salvò dalla morte per fame lui e i suoi compagni, rimasti intrappolati dalla neve in una cella sulle montagne del Caucaso.

Sulla destra della chiesa, vicino all’entrata, si apre la cappella del battistero con il fonte battesimale del 1744. A metà della navata si apre una porta che, oltre la sacrestia, immette nel chiostro dell’antico convento. Nella cappella a sinistra del presbiterio si trova la tomba di Teofilo Folengo (1491-1544), monaco benedettino e famoso poeta maccheronico (con lo pseudonimo di Merlin Cocai), che fu ospite del convento di Campese dal 1542 alla morte. Infine, l’ultimo altare prima dell’uscita ha una pala raffigurante la Madonna in gloria con bambino e putti e i santi dell’ordine benedettino, opera della scuola dei Da Ponte. Il fonte battesimale accanto alla porta risale al XIII secolo e sembra provenga dall’antica chiesa di San Martino.

Era la preghiera a scandire la vita dei monaci nell’antico monastero. Iniziava nel cuore della notte, verso le due del mattino, nel coro, con la recita dei salmi, la lettura della Bibbia con il commento dei Padri della Chiesa. Dopo una breve pausa, il canto delle Laudi; e intanto si faceva l’alba. Si riprendeva con una breve lettura dal nuovo testamento, il canto corale del Benedictus e il Padre Nostro. Recitata l’ora prima, dopo aver preso parte alla messa conventuale, i monaci si riunivano in refettorio per la prima colazione e in seguito si dedicavano al lavoro, interrotto alle nove, alle dodici e alle tre del pomeriggio per la recita delle Ore e, al tramonto, per il canto del Vespro. Dopo la cena, Compieta e riposo.

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