Beata Vergine delle Grazie, Villafranca Padovana
Il vescovo di Padova Jacopo Zeno volle verificare con scrupolo che si trattasse di un’apparizione della Vergine. Inviò sul posto il suo uditore Giovanni De Giocondi, che raccolse in numerose testimonianze i segni del soprannaturale, e solo allora autorizzò la costruzione della chiesa, con un documento che porta la data del 27 agosto 1479. Pochi giorni prima a una fanciulla era apparsa la Madonna, indicandole il luogo in cui avrebbe dovuto sorgere una cappella dedicata al suo nome. All’apparizione erano seguite una serie di guarigioni miracolose e la chiesa venne intitolata alla Santa Vergine Maria delle Grazie.
La costruzione di quello che nel tempo è divenuto un grande centro di devozione mariana, attorno al quale in passato ruotavano anche diverse confraternite di cui una tuttora sopravvive, ebbe qualche difficoltà iniziale ma fu portata a termine nel 1505 a opera di due illustri padri eremitani di Padova, Paolo Zabarella e Girolamo de Santi. Essi ressero poi il santuario per alcuni anni, abitando nel piccolo convento che avevano fatto costruire nelle adiacenze; in seguito, per decreto della sede apostolica, ne cedettero la cura e la giurisdizione alle monache della comunità di Sant’Agata e Santa Cecilia di Padova, che dal 1539 affidarono l’ufficiatura della chiesa a un rettore di loro scelta.
Dopo diversi interventi di sistemazione succedutisi nel corso dei secoli, il santuario è stato sottoposto tra il 1958 e il 1961 a un consistente restauro, che gli ha restituito l’antico splendore.
Entrando nel santuario subito l’occhio corre avanti, verso l’area presbiterale. Le linee semplici e le nude capriate si contrappongono infatti alla ricchezza del presbiterio e dell’altare maggiore, sormontato dall’imponente dossale seicentesco su cui spicca l’immagine della Vergine. Gli affreschi alle pareti narrano la storia dell’apparizione, della consacrazione della chiesa e di alcuni prodigi; opera forse di Martino Zalescio, pittore che nel Seicento venne a Venezia dopo aver studiato alla corte del re di Polonia, furono stesi a edificazione dei fedeli, corredati ciascuno di una didascalia.
Ai lati del presbiterio si scende nella cripta dell’antico altare dell’apparizione, dove si trova una piccola statua in marmo bianco della Vergine, che una leggenda vuole si sia trovata prodigiosamente nel corso degli scavi per la costruzione della chiesa.
Nel chiostro del santuario sono affrescati la storia di Cristo, di Maria e della Chiesa, opera eseguita dal pittore rumeno Michail Ivanov nel 1994. I contorni fluidi delle figure umane, la libertà nell’uso dei colori, pur nel rispetto dello stile bizantino, le espressioni dei volti e la gestualità delle mani che mettono in evidenza i personaggi, sono tutti elementi che vogliono trasmettere un messaggio religioso e sacro attraverso un contatto diretto con chi osserva le scene. È qui espresso un concetto di arte come esperienza ecumenica di accoglienza, di preghiera, di dialogo, di meditazione, in modo tale da far rivivere a chiunque percorra il chiostro i grandi avvenimenti della storia della salvezza.
Accanto al santuario, infine, una Via crucis di recente realizzazione offre la possibilità di percorrere e meditare le tappe della sofferenza di Gesù.
È circondata e come portata dagli angeli l’icona della Madonna delle Grazie, immagine della divina bellezza, dimora dell’eterna sapienza, figura dell’orante, prototipo della contemplazione, icona della gloria. A sua volta, ella porta Gesù e lo dona agli uomini come la via che conduce a Dio. Con un braccio stringe il figlio, con l’altro si rivolge a chi la osserva: mano che raccoglie le preghiere, benedice, dona grazia, accarezza con dolcezza infinita, sostiene chi vacilla, indica la strada, libera dal male e dal dolore. Per tutti disponibile, per ciascuno un gesto, amoroso, di madre.
Trovandosi dunque colà [all’Arcella] con i frati, la mano del Signore si aggravò su di lui, e crescendo il male con molta violenza suscitava forte ansietà. Dopo breve riposo, fatta la confessione e ricevuta l’assoluzione, egli cominciò a cantare l’inno della Vergine gloriosa: «O Gloriosa Domina, sublimis inter sidera…». Com’ebbe finito, levando d’improvviso gli occhi al cielo, con sguardo estasiato mirava a lungo dinanzi a sé. Chiestogli dal fratello che lo sorreggeva che cosa vedesse, rispose: «Vedo il mio Signore». I frati presenti, sentendo che si avvicinava il suo felice passaggio, decisero di amministrare al santo l’unzione degli infermi. Allorché il fratello che recava, come d’uso, l’olio santo gli si fu accostato, il beato Antonio guardandolo disse: «Non è necessario, fratello, che tu mi faccia questo, ho infatti già questa unzione dentro di me… Tuttavia, è cosa buona per me, e la gradisco molto». Si sostenne ancora per qualche tempo, quindi la Sua Anima Santa venne assorbita nell’abisso della Luce che non tramonta.
Racconto del Transito dalla prima biografia di sant’Antonio - Assidua - Rigaldina (cap. 17)
Consacrazione a Maria
O Maria, Madre di Gesù e Madre della Chiesa
accogli il mio patto d’amore con te.
A te io abbandono e consacro tutta la mia vita
e quella della mia famiglia.
Tu donami le vibrazioni del tuo cuore
la tua azione di Mediatrice e di Madre.
Rendimi saldo in quella fede
che i genitori, con grande amore,
mi hanno trasmesso da quand’ero bambino.
Fammi incrollabile nella speranza
anche quando nella mia esistenza
sovrastano gli affanni o le delusioni.
Moltiplica il mio impegno di carità
perché possa spendere la mia vita
in quello che veramente vale,
abbandonato alla volontà di Dio. Amen.
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